Quella serata a Capri cantando in napoletano. Il mio ricordo di Marc Augé su il Mattino del 25 luglio 2023
Marc Augé aveva Parigi nel cuore e il mondo nella…
I soldi non fanno la felicità. E nemmeno la longevità. Lo dimostrano gli studi sul rapporto tra il Pil, il prodotto interno lordo nazionale e la salute della popolazione. Il reddito da solo non è garanzia di longevità, perché il benessere fisico dipende soprattutto da uno stile di vita misurato e frugale che, di fatto, è alla portata di tutti. Lo dissero, in anticipo sui tempi, Ancel Keys e Margaret Haney, gli scienziati americani che negli anni Cinquanta furono i primi a riconoscere le virtù della dieta mediterranea. In una Napoli ancora semidistrutta dalla guerra, i due ebbero l’intuizione che gli operai partenopei a tavola avessero un tenore di vita più salutare di quello dei ricchi americani. Insomma pasta e fagioli valeva più di bistecche e patate fritte.
Nessuno voleva credere alla loro ipotesi così, per dimostrarne la validità, iniziarono una delle più straordinarie ricerche sul campo della storia della medicina. Una via di mezzo tra l’anamnesi medica e l’osservazione etnografica.
Realizzata analizzando chilometri di tracciati elettrocardiografici e migliaia di ricette tradizionali. A loro si unirono scienziati di sette nazioni, Italia, Stati Uniti, Olanda, Giappone, Finlandia, ex Jugoslavia, Grecia. E insieme hanno realizzato questa impresa titanica e al tempo stesso pionieristica, perché coinvolgeva 12 mila uomini sparsi in tutto il mondo e esplorava un terreno nuovo e complicato, cioè il rapporto tra abitudini alimentari e salute. Lo studio si chiama Seven Countries Study (Studio delle Sette Nazioni, abbreviato Scs) ed è considerato a tutt’oggi uno dei più importanti successi nella storia della medicina. Perché, studiando popolazioni diverse, ha dimostrato che esiste una correlazione significativa tra l’elevato consumo di grassi saturi e l’insorgenza delle malattie cardiovascolari. In parole povere, consumare troppi cibi che aumentano il colesterolo nel sangue crea le condizioni ideali per infarti e ischemie.
Ma, come diceva Henry James, “The whole of anything is never told”. Come dire che non è possibile esaurire del tutto nessun argomento. Infatti questa ricerca, iniziata nel 1958 e oggi portata avanti dalla terza generazione di ricercatori, sta dando ulteriori risultati.
Per saperne di più abbiamo raggiunto a Roma Alessandro Menotti, medico, già professore di epidemiologia all’università del Minnesota, a lungo direttore del Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica dell’Istituto Superiore di Sanità. Una vita intera dedicata a questo studio.
Dopo 50 anni di ricerche che biologiche alla University of Southern California di Los Angeles, nel libro Alla tavola della longevità, accusa il Scs di non aver distinto i grassi animali dai grassi ingenerale, finendo per“demonizzare lipidi molto importanti perla salute umana come quelli mono e polinsaturi”, cioè frutta secca in guscio e olio extravergine di oliva.
«Non è vero che il Scs abbia insistito sui lipidi totali, perché in quasi tutte le nostre pubblicazioni abbiamo sistematicamente parlato sia di grassi saturi, che di mono-insaturi e di poli-insaturi».
Sembra quasi una semplificazione strumentale, che serve a dire che la dieta mediterranea che avete studiato voi è superata.
«Il nostro scopo è stato sempre ed esclusivamente quello di dare dei risultati scientificamente corretti da utilizzare per migliorare la salute pubblica. Nessuno di noi vende illusioni o diete salva vita».
I guru delle diete si sprecano e quasi sempre tentano di screditare la dieta mediterranea. Un’acerrima nemica del vostro studio è la giornalista Nina Teicholz, autrice del libro The Big Fat Surprise.
«Il fatto stesso che si tratti di una divulgatrice e non di una scienziata solleva dei dubbi su quello che ha scritto. Anche perché molte delle sue affermazioni sono false, o derivate da notizie imprecise. Leggende metropolitane viralizzate dai mass media. Inoltre personaggi come lei, che dicono che i grassi fanno tutti bene, hanno spesso rivendicato con orgoglio il fatto di essere sul libro paga delle industrie della carne, del latte e delle uova, cosa che rappresenta un palese conflitto di interessi».
In rete ci sono alcuni forum, apparentemente gestiti da consumatori comuni, che attribuiscono alla dieta mediterranea e a voi che l’avete promossa, di avere favorito la diffusione del diabete negli Stati Uniti.
«Quando abbiamo lanciato l’allarme sugli effetti nocivi di un eccesso di consumo di burro, latte, margarina, bistecche, pancetta, uova e formaggi, non abbiamo certamente suggerito di sostituirli con junk food, snack, bibite, zucchero e carboidrati semplici. Semmai vanno sostituiti con olio extravergine di oliva, cereali integrali, frutta e verdura di stagione, legumi e pesce. Inoltre non va dimenticato che i prodotti alimentari industriali contengono grandi quantità di zucchero anche quando non si tratta di dolci».
Di fatto le mistificazioni che hanno colpito Ancel Keys fino alla sua morte, avvenuta nel 2004 alla invidiabile età di 101 anni, continuano a bersagliare voi. Tanto che il professor David L. Katz dell’università di Yale, stanco di tante fake news sulla dieta mediterranea, ha pubblicato recentemente un libro bianco intitolato Ancel Keys and the Seven Countries Study (consultabile su www.elisabettamoro.com), per controbattere, con argomenti scientifici e documentati, al revisionismo storico che tenta di sminuire il valore del vostro lavoro.
«Lo facevano con Keys, continuano a farlo con noi. Ma non c’è da stupirsi. Gli interessi economici in ballo sono enormi. Quando ho cominciato a lavorare con Ancel Keys ero consapevole che sarebbe stata un’avventura difficile. Prima di tutto perché lui era tanto intelligente quanto esigente. E poi perché il progetto andava controcorrente. Nessuno ha piacere di sentirsi dire che deve adottare uno stile di vita sobrio, soprattutto a tavola».
Lei è nato nel 1934 a Riva del Garda dove, a parte l’olio d’oliva, le abitudini alimentari erano austroungariche e dunque non conosceva la dieta mediterranea prima di cominciare a studiarla.
«Da giovane medico ero andato a lavorare in Libia e là ho fatto il mio primo incontro con cous cous, melanzane e pesce azzurro. E ho imparato a cucinare con l’olio. In seguito sono andato a fare ricerca in Grecia con Keys, mangiavamo nelle case dei contadini, alla fine del pasto avevamo la sensazione di essere letteralmente “oliati”. All’opposto, in Finlandia ci sentivamo “imburrati”. Il nostro corpo era diventato un rilevatore empirico. Ci scherzavamo su».
Il suo bilancio dopo tanti anni di ricerca è positivo?
«È una fatica che rifarei. Agli inizi del Seven Countries Study tutto era molto più complicato rispetto a oggi che la ricerca scientifica è più semplice, precisa e veloce. Eccetto per una variabile che detesto, la burocrazia. Rispettare le regole della privacy di ciascun Paese è un incubo. Come dire, dimmi come mangi… e non posso dirti più chi sei!».
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