Quella serata a Capri cantando in napoletano. Il mio ricordo di Marc Augé su il Mattino del 25 luglio 2023
Marc Augé aveva Parigi nel cuore e il mondo nella…
Macellai e cacciatori minacciano i vegani e il Festival viene annullato. La sicurezza pubblica è a rischio e la sindaca di Calais, nel nord della Francia, non ci pensa due volte. Sospende la manifestazione prevista per l’8 settembre. La tavola non unisce più e diventa il campo di battaglia di una società in guerra con se stessa. Incapace di pensare, bramosa di ringhiare. Sia da una parte, che dall’altra. Perché l’estremismo è bipartisan.
Gli organizzatori della kermesse vegana su Facebook invitano i militanti alla calma. «Amis, amies, n’insultez pas». Amici, amiche, non insultate. Ma la rabbia cresce tra quanti si vedono privati della possibilità di passeggiare tra gli stand di cibi, vestiti, suppellettili, poltrone, cosmetici, borse e scarpe fabbricati senza utilizzare elementi animali. Anche cuoio, lana, seta, pelle e piume, infatti, sono rigorosamente banditi.
Erano previsti anche corsi per rivoluzionare la cucina francese e imparare un nuovo lessico gastronomico. Perché per i nipotini di Robespierre eliminare carne, uova, latte e formaggi dalle ricette equivale al digiuno. Noi mediterranei sapremmo come cavarcela, perché buona parte delle nostre tradizioni culinarie sono compatibili con il credo vegano. Ma per chi è cresciuto a steack e frites, jambon e fromage, pot-au-feu (bollito), gigot d’agneau (cosciotto d’agnello), ostriche e cozze, aragoste e trote, omelettes e macarons, è decisamente difficile.
In realtà il raduno dei vegani non dovrebbe costituire un problema. Dove c’è gusto, non c’è perdenza. E le scelte individuali sono legittime. Ma, l’altra metà del cielo alimentare si è organizzata e ha sobillato la partecipazione in massa di allevatori, salumieri, lattai, casari, affinatori di formaggi, pollivendoli, caprai, cacciatori, pescatori, ristoratori. Per fare cosa? Non è del tutto chiaro, si è parlato di “reagire al festival”, di “cercare un contatto”. Auspichiamo non violento. Anche se lo slogan, divertente, era “Salva un contadino, mangia un vegano!”. Certamente l’idea era quella di guastare la festa. Magari intervenendo ai dibattiti, contestando i conferenzieri, ridicolizzando i cosiddetti “cibi senza”. Senza panna, senza burro, senza brodo, senza yogurt, senza maionese, senza besciamella, senza pancetta. E così via eliminando.
Ora che hanno ottenuto il massimo risultato con il minimo sforzo, i tradizionalisti esultano e si sentono in un certo senso risarciti degli affronti subiti da quei vegani estremisti che negli ultimi tempi in Francia hanno spaccato le vetrine dei loro negozi, hanno imbrattato i muri con scritte come “Gli animali non sono ingredienti” e “Stop spécisme!”. E qui sta il fulcro della questione. La vera posta politica. I vegani radicali, infatti, sono antispecisti, cioè negano l’idea che la specie umana sia superiore alle altre e abbia il diritto di sfruttarle a suo piacimento. Tradotto in soldoni, noi umani non possiamo trattare gli animali come beni di consumo. Non è etico allevare altri esseri viventi per mangiarli. Non è giusto cacciare. È crudele forzare le mucche perché producano più latte, le galline perché scodellino decine di uova al giorno, creare valli di mare per moltiplicare i pesci. L’idea è che tutti gli esseri senzienti, in grado di sentire e provare delle emozioni, meritino il nostro rispetto e abbiano i nostri stessi diritti. Insomma, sono come noi.
Si tratta di una corrente di pensiero sempre più radicata e diffusa, che immagina un nuovo umanesimo, senza però l’uomo al centro. Semmai a pari merito con gli altri esseri viventi. Con tutte le conseguenze sociali, economiche, morali, etologiche che ne conseguono. All’estremo opposto ci sono i sostenitori dell’antropocentrismo a oltranza. Quelli che credono che il pianeta sia il supermercato di homo sapiens e che le risorse naturali siano infinite e comunque, finché ci sono, vale la pena di farne incetta. Quelli che per moltiplicare i loro guadagni non badano a spese, dell’ambiente. Quelli che divorano quantità di carne come Polifemo. Che in nome dell’allevamento intensivo “perinde ac cadaver” hanno provocato l’epidemia della mucca pazza, l’aviaria, le uova contaminate. E così via distruggendo.
Tra questi due estremismi economici, politici, etici e sociali, c’è la grande maggioranza della popolazione mondiale, che cerca di ragionare e di trovare un sano equilibrio tra diritti e doveri, tra piaceri e necessità. Non a caso in Occidente, dove la fame non è più un problema semmai lo sta diventando l’obesità, cresce il numero degli onnivori etici. E i consumi di alimenti ad alto impatto ambientale sono in calo. Le normative, almeno quelle europee, impongono di evitare sofferenze agli animali. Inoltre, dopo la grande abbuffata del dopoguerra, assistiamo per la prima volta a una inversione di tendenza. Si mangia meno carne, si riducono le proteine, si rimpiccioliscono le porzioni, si mangiano più legumi. E la tavola sta diventando il laboratorio di una nuova idea di collettività e di benessere. Al punto che in Svizzera si discute se inserire nella Costituzione l’educazione alimentare, che diventerebbe così un diritto-dovere di ogni cittadino. Uno strumento nuovo per costruire la società di domani. Politici di oggi, imparate a impugnare la forchetta, vi servirà.
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