Quella serata a Capri cantando in napoletano. Il mio ricordo di Marc Augé su il Mattino del 25 luglio 2023
Marc Augé aveva Parigi nel cuore e il mondo nella…
È nata la dieta che salverà il mondo. Il suo nome è Planetary Health Diet. Dieta per la salute del pianeta. A idearla è stata la commissione EAT-Lancet composta di trentasette esperti di fama internazionale, provenienti da 17 nazioni diverse, che per oltre due anni ha lavorato di bilancia e bilancino per soppesare le giuste dosi di alimenti da assumere quotidianamente. Tutto scritto nelle 47 pagine del rapporto “Food in Anthropocene”, appena pubblicato sul prestigioso Lancet Medical Journal.
La grande novità di questo regime è che nasce dalla santa alleanza tra medici nutrizionisti e scienziati della sostenibilità ambientale. Due campi del sapere che si sono spesso sfiorati, ma raramente integrati.
Il messaggio è forte e chiaro. Niente fake news, stop allo stupidario social, ma anche al negazionismo ecologico alla Trump. La commissione ha fornito parametri certi sui fabbisogni nutrizionali umani e sull’impatto ambientale delle produzioni agro-alimentari.
L’obiettivo dei cervelloni è raddoppiare il consumo mondiale di frutta, verdura, legumi e noci. E dimezzare quello di carni e zuccheri entro il 2050. Difficile? Per molti cittadini globali sì. Ma non per chi segue già la dieta mediterranea, che in realtà è la vera fonte di ispirazione della ricetta EAT-Lancet. Che per l’occasione ha coniato un nuovo nome, più altisonante e ambizioso. E soprattutto senza connotazione geografica, per parlare anche a chi il mare nostrumnon sa nemmeno dove stia di casa.
Tant’è vero che il primo esempio virtuoso proposto dal blasonatissimo team è la dieta della Grecia anni Cinquanta. Basata su due pilastri imprescindibili, una netta prevalenza di vegetali e olio d’oliva come se ne piovesse. Non a caso, dicono gli scienziati, i greci di allora vivevano più a lungo di quelli di ora.
La grande fonte scientifica del Rapporto non poteva che essere Ancel Keys, il fisiologo statunitense che per primo ha dimostrato la salubrità dello stile di vita mediterraneo. E che proprio negli anni Cinquanta monitorava cinque campioni di popolazione in Grecia nell’ambito del celebre Studio delle Sette Nazioni, nel quale anche la Campania ebbe un ruolo decisivo. Lo scienziato americano amava ricordare che i contadini cretesi facevano colazione con un bicchiere d’olio e quando lo invitavano a pranzo lo deliziavano con una miriade di piatti di verdure e legumi superconditi. E concludeva immancabilmente dicendo che tornava a casa “perfettamente oliato”.
Certo i tempi sono cambiati e va tenuto conto che il dispendio calorico di allora non è quello di ora. E proprio per questo la Commissione – guidata da Johan Rockström direttore dell’Istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico e da Walter Willet nutrizionista dell’Università di Harvard, che negli anni Novanta ha contribuito a disegnare la piramide alimentare dell’OMS – ha calibrato la dieta che salverà il mondo contenendola entro le 2.500 calorie al dì. Ecco le dosi quotidiane: 300gr di verdura, 200 di frutta, 230 di cereali (prevalentemente integrali), 250 di latticini, 125 di legumi secchi, noci e semi, 50 di patate, 43 di carne, 31 di zucchero, 28 di pesce, 13 di uova. Gli olii vegetali insaturi sono da preferire, extravergine in testa, da un minimo di 20 ad un massimo di 80 gr. Sono ammessi anche un cucchiaino di strutto o un pezzetto di guanciale e perfino qualche cucchiaio di olio di palma. Perché, la buona notizia è che per salvare il pianeta non è necessario rinunciare ai piaceri della tavola. Né diventare vegetariani o vegani. E per avvicinarsi all’identikit dell’onnivoro responsabile disegnato dallo studio, basta ridurre le porzioni, variare più spesso le pietanze e aggiungere qualche piatto di legumi. Scegliendo prodotti locali e di stagione. E soprattutto limitando le bibite zuccherate. Solo così la Terra sarà in grado di nutrire bene i 10 miliardi di persone previste per il 2050. Insomma, con buona pace degli apocalittici, c’è tutto il tempo per diventare dei gourmet sostenibili. Soprattutto per noi Mediterranei, che la sostenibilità a tavola la pratichiamo da sempre. A nostra insaputa.
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