Quella serata a Capri cantando in napoletano. Il mio ricordo di Marc Augé su il Mattino del 25 luglio 2023
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La Svizzera protegge i propri prodotti con il marchio “Swiss made”. Una etichetta di garanzia che va dagli orologi di lusso ai coltellini, sino ai prodotti alimentari. Come il formaggio, ma anche il vino o altri generi alimentari che devono avere una produzione o comunque devono essere realizzati in gran parte nella Confederazione. Eppure l’industria del falso ormai ha colpito anche i prodotti tipicamente rossocrociati. Così come era accaduto in precedenza con il parmigiano, la pasta, il prosciutto per l’Italia, o i vini e altre eccellenze per la Francia. La Cina soprattutto continua a sfornare articoli con marchi dove compare il segno rossocrociato, un valore aggiunto che diventa un “passepartout” per i mercati internazionali.
In particolare vengono “taroccati” coltellini, quelli classici di Victorinox, ma anche orologi e persino pezzi di grande pregio dell’industria meccanica, piccoli capolavori che diventano ingranaggi preziosi per l’industria. Non sfugge alla rete dei falsi la fabbrica del cioccolato. Con improbabili confezioni che richiamano almeno all’apparenza quelli elvetici. Ma al primo assaggio si capisce subito che di svizzero non c’è nulla.
La scure dei dazi Usa fa a fettine i formaggi europei. Dal 18 ottobre tutti i prodotti inseriti nella black list della Casa Bianca verranno tassati del 25%. Una batosta per i produttori e anche per i consumatori. Ad andarci di mezzo sono soprattutto i caci più blasonati, quelli che fino ad ora hanno goduto del gradimento crescente di un popolo che cerca sempre di più la qualità ed evita il junk food. Ma il presidente Donald Trump, con la sua politica America First, intende favorire con qualsiasi mezzo le produzioni nazionali, penalizzando la concorrenza straniera.
Così nella pausa pranzo di Wall Street un toast con prosciutto e Emmentaler made in Europe subirà un significativo rialzo del prezzo. Ma per la Svizzera non si pone alcun problema, perché non è entrata nel mirino del cecchinaggio alimentare. In quanto il “Swiss or Emmentaler cheese with eye” supertassato dall’Ufficio del Rappresentante per i negoziati commerciali Usa è tutto prodotto in altri Paesi, dal Belgio alla Slovenia, dalla Baviera alla Macedonia. Perché si tratta di tome che di elvetico hanno solo il nome. Visto che solo il 20% delle forme col nome Emmental esportate oceano sono autenticamente rossocrociate. Perciò il nuovo protezionismo americano potrebbe paradossalmente punire i furbi e avvantaggiare i casari confederali, favoriti da prezzi più competitivi.
Attenzione però. Ad imitare il formaggio con i buchi non sono solo gli europei, perché anche i caseifici del Wisconsin, dell’Ohio e della California lavorano senza sosta per soddisfare la richiesta interna. E da soli coprono il 98% del mercato. Insomma, la Confederazione non è colpita dai dazi, ma rischia di essere affondata dai falsi. Tutto nasce dal fatto che in Nord America per formaggio svizzero si intende una categoria merceologica generica, che nulla ha a che fare con il luogo in cui viene prodotto. Perciò è perfettamente legale evocare il profumo del latte alpino a scopo di lucro.
Le industrie statunitensi fra l’altro si vantano della loro tradizione casearia che risale alla metà dell’Ottocento, quando gli immigrati dal canton Berna hanno portato con sè il know how dei loro padri e hanno fatto nascere quello che viene ironicamente definito l’Emmental con l’accento americano. Nell’arco di qualche decennio hanno anche assimilato lo spirito del luogo e così hanno inventato il Baby Swiss cheese. Più ricco di sapore, poiché prodotto con burrosissimo latte intero. Inoltre, visto che la misura delle forme d’antan rendeva laboriosa la loro manipolazione e richiedeva un tempo molto lungo di stagionatura, hanno ridotto il diametro delle tome. Ottenendo un formaggio che può essere commercializzato molto prima e che si adatta ai palati di tutti. Paese che vai gusti che trovi. Va detto però che stiamo ancora parlando di prodotti di una certa qualità, il che non è poco, se si pensa che esiste anche la versione adulterata con il caramello per simulare la stagionatura. Perché nell’epoca della contraffazione anche il tempo può essere taroccato. Proprio per questo la Brewster Dairy, con sede nell’omonima cittadina dell’Ohio, attualmente la più grande industria lattiero casearia degli Stati Uniti con una produzione di 40mila tonnellate l’anno di formaggio svizzero, rimarca il fatto che il suo prodotto è assolutamente naturale. Nonché indispensabile per preparare fonduta, cordon bleu e quiche come dio comanda. Ma soprattutto per gratinare a dovere l’americanissimo pollo alla svizzera, sepolto sotto una colata gialla. Come se bastasse fare i buchi nel formaggio per avere il formaggio con i buchi.
Articolo pubblicato su il Caffè del 13 ottobre 2019.
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