Quella serata a Capri cantando in napoletano. Il mio ricordo di Marc Augé su il Mattino del 25 luglio 2023
Marc Augé aveva Parigi nel cuore e il mondo nella…
Nessun matrimonio s’ha da fare. Lo ha stabilito il coronavirus, il Don Rodrigo del villaggio globale. E così i promessi sposi stanno ad aspettare che l’epidemia tolga il disturbo e restituisca loro il sacrosanto diritto di convolare a giuste nozze. Si tratta di uno stop che non ha precedenti, per il numero di persone coinvolte. E di attività economiche travolte. Perché persino durante i due conflitti mondiali, le nozze venivano celebrate a dispetto di tutto e molti soldati tornavano in licenza dal fronte proprio per giurare eterna fedeltà alle fidanzate. Spesso erano costretti ad andare davanti all’altare accompagnati solo dai testimoni, dai genitori e pochi altri. Ma il rito veniva celebrato e l’unione santificata dalla legge. Ora invece è tutto bloccato in un fermo immagine della vita, che non scorre più, inceppata in uno stallo della storia individuale e collettiva.
A rigore le unioni non sono vietate, ma sottoposte ad un vincolo strettissimo che ammette solo i nubendi, i testimoni e l’officiante. Ad aggravare la situazione c’è la sospensione dei riti religiosi e l’impossibilità di festeggiare come Dio comanda, che di fatto hanno costretto la stragrande maggioranza degli sposini a rinviare a data da destinarsi il momento del fatidico sì.
A maggio doveva iniziare la stagione degli amori, con il consueto corteo di spose in abiti bianchi, di mariti in vestiti eleganti, di damigelle leziose e suocere festose, di fotografi invadenti e cantanti commoventi. Trucco e parrucco, fedi luccicanti e fiori fragranti, bomboniere preziose e tacchi vertiginosi. E invece l’intera filiera del wedding, che secondo i dati di Assoeventi-Confindustria, in Italia vale 10 miliardi, è paralizzata. Trecento mila imprese stanno a guardare, mentre un milione di lavoratori si gira i pollici e teme di perdere il posto. Per capire il volume d’affari basta pensare che nel 2019 nello Stivale i matrimoni sono stati 219 mila cui vanno aggiunti i 9 mila dei turisti stranieri. Che scelgono il Belpaese come location del giorno più bello della vita. E la Campania, leader europea nel settore, rischia di perdere 1,5 miliardi di fatturato. Nella sola Sorrento erano in calendario 379 matrimoni, al 90% riti civili di coppie inglesi che mediamente portano al seguito una trentina di ospiti. A questi si aggiungono altri turisti che pur essendo già sposati vengono in Costiera amalfitana o a Capri per celebrare un matrimonio simbolico, una fiction romantica per rinfrescare il ménage in una location che più bella non si può. Senza mettere in conto il numero esorbitante delle lune di miele che nella nostra regione diventano dolcissime. Sospese anche quelle.
Insomma, uno stallo che fa danni alle tasche, oltre a stressare le coppie. Ma fa male anche alla collettività. Perché il matrimonio è l’istituzione sociale più importante, visto che tiene insieme i diritti e i doveri dell’amore. Fa nascere nuovi nuclei famigliari, rinnova la comunità immettendo energie fresche nel corpo sociale.
Sono esistite civiltà senza la ruota, ma nessuna senza le unioni matrimoniali. Cioè senza patti di mutuo soccorso fra persone che hanno scelto di affrontare il futuro in compagnia. E fra gruppi che attraverso queste alleanze sanciscono legami fondamentali. Diceva il grande antropologo Claude Lévi-Strauss che l’umanità è diventata tale quando ha cominciato a scambiare le donne della propria tribù di appartenenza con gli uomini di altri villaggi. Per quanto questa frase oggi possa suonare politicamente scorretta, in realtà dice nel lessico tecnico dell’antropologia che, di fatto la nascita della parentela, cioè l’istituzione di legami forti e duraturi tra comunità estranee, è stata una rivoluzione per Homo sapiens. Come dire che i parenti saranno pure serpenti, ma sono anche indispensabili.
Insomma, viene da chiedersi, per quanto tempo una società può fare a meno delle feste nuziali senza perdere la fiducia nel futuro? Probabilmente per un po’ di tempo, ma non troppo. Procrastinare è necessario, rinviare sine die è rischioso. Perché mette a dura prova la visione stessa del nostro domani. E mette in stand by la vita. Qualche coppia, stremata dall’attesa, alla fine si è accontentata di scambiarsi le fedi e ha rinviato solo i festeggiamenti. Tutti gli altri stanno aspettando che ai wedding planner e ai ristoratori venga data la possibilità di inventare nuovi modi per inondare di profumo di fiori d’arancio le nostre città semi deserte. Perché all’amor non si comanda. E Cupido non ci sta a lanciare i confetti da un balcone all’altro.
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