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La giornata del cibo: L’illusione dell’Onu di cancellare in 10 anni la fame nel mondo – Il Mattino

17 Ottobre 2020

Una parte dell’umanità non sa come fare a mangiare. L’altra parte non sa come fare a non mangiare. Fame versus obesità. È il paradosso del sistema alimentare globale. Sbilanciato sia da un lato che dall’altro. Ce lo ricorda la giornata mondiale dell’alimentazione celebrata ieri. Un momento di riflessione voluto dalla FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite con sede a Roma che si occupa di cibo e agricoltura, e che con l’occasione celebra anche il suo settantacinquesimo anno di attività. Il bilancio è solo parzialmente soddisfacente, perché per sua stessa ammissione, nella lotta alla povertà e alla malnutrizione ha raggiunto fino ad ora molti traguardi, ma quello ambizioso dell’azzeramento della fame entro il 2030 si sta allontanando a vista d’occhio. A causa della pandemia di Covid-19 che mette a rischio l’approvvigionamento nei paesi più poveri e nelle aree più lontane dalle produzioni. Perché più sono lunghe le filiere, più possibilità ci sono che i prezzi si impennino e la distribuzione si blocchi. Come è accaduto durante il lockdown, quando l’Italia ha potuto far fronte alla richiesta di cibo grazie al suo sistema agricolo capillare, mentre molte nazioni anche del primo mondo, si sono ritrovate con gli scaffali vuoti. In realtà da noi è mancato solo il lievito, per eccesso di domanda. Perché abbiamo trasformato questo emblema della cucina di casa, questo ingrediente essenziale di pane, torte e pizze, in un placebo contro l’angoscia, in un simbolo della nostra fame di convivialità. Quella che caratterizza noi Italiani nella buona e nella cattiva sorte. E proprio per questo le nuove e sacrosante sollecitazioni del Governo a togliere posti a tavola, ridurre cene e cenette, contingentare i banchetti, ci rattristano. Perché il cibo non è solo nutrizione, ma è anche relazione. Piacere, festa, condivisione, comunicazione, scambio. Tutto questo è sacrosanto. Ma la voglia di movida e tavolate non può prevalere sulla salute pubblica. Per di più, il comportamento scriteriato di alcuni, con la conseguente impennata dei contagi, ora rischia di far perdere il posto di lavoro proprio a tutti quegli operatori del food che stavano finalmente riprendendo fiato. In ogni caso, a fronte di quel che sta succedendo in altre parti del pianeta, le nostre rinunce sono poca cosa. Visto che secondo le diverse agenzie dell’ONU, compresa l’OMS, l’organizzazione mondiale della sanità e la Banca Mondiale, entro la fine dell’anno potremmo avere 120 milioni di persone in più alle prese con la fame. Le conseguenze fanno rabbrividire. Si calcola un incremento di poveri dell’82% rispetto al periodo pre-covid. Con un tasso giornaliero di mortalità dovuto alle conseguenze sociali ed economiche del virus che oscillerà tra le 6 mila e le 12 mila persone. Cifre da capogiro. Non a caso il Covid-19 è stato ribattezzato il “virus della fame”.

In questo scenario apocalittico, David Beasley, direttore del World Food Programme appena insignito del Premio Nobel per la Pace 2020, ha lanciato parole di speranza. «Finché non si troverà un vaccino per il coronavirus, è il cibo il miglior vaccino contro il caos». Un mantra che dovremmo intonare tutti insieme, paesi ricchi e poveri, lavorando ad una redistribuzione strategica degli alimenti e ad una riduzione massima degli sprechi. Un invito rilanciato in Italia dal fondatore del Last Minute Market Andrea Segrè, ordinario di Economia Agraria all’Università di Bologna e promotore della campagna pubblica di sensibilizzazione Spreco Zero. «Optare per un modo di mangiare sostenibile, in attesa del vaccino, è la scelta migliore per la salute nostra e per quella del pianeta. Con una dieta come quella mediterranea, riconosciuta proprio dalla FAO come la più ecocompatibile, possiamo evitare patologie croniche e cardiovascolari, ma anche ridurre l’impatto ambientale e le emissioni di gas serra». Perché il cambiamento climatico, che inaridisce i terreni, distrugge i raccolti e impoverisce le popolazioni oggi è l’altro grande nemico da combattere. Anche con forchetta e coltello. Cambiando cioè le nostre abitudini alimentari. Visto che un terzo delle emissioni di CO2 dipende da quel che decidiamo di mettere in tavola.  Forse mai come adesso ci rendiamo conto di stare tutti sulla stessa barca. E che la dieta non è solo una questione di calorie da perdere o da guadagnare. Ma, come dicevano i Greci che hanno inventato la parola, è una filosofia della vita.

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Elisabetta Moro
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