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“Lucerne”, geometrie dal passato: la tradizione si trasforma in Mito – il Mattino del 3 agosto 2022

4 Agosto 2022

La luce tremolante delle lucerne illumina la notte del Casamale. Ed è subito festa. Così Somma Vesuviana celebra l’antico rito in onore della miracolosa Madonna della Neve. Ogni quattro anni il dedalo di vicoli addobbati di felci e fronde di castagno fa da teatro alla comunità, che offre lo spettacolo della sua storia e delle sue speranze, della sua etica ed estetica. È un rito di passaggio dalla morte alla vita, un cerimoniale collettivo che segna la fine dei raccolti e l’inizio di un nuovo ciclo agrario. Nelle notti da giovedì 4 a sabato 6 agosto tutti i vicoli più stretti diventano la location di una scenotecnica unica in Europa. Quattromila fiammelle disposte su strutture in legno a forma di triangoli, cerchi, quadrati e rombi. Con un sapiente gioco prospettico di luci e specchi si crea un’illusione ottica che moltiplica il lucore all’infinito. All’imbocco di ciascuna di queste scie luminose viene tradizionalmente collocata una tavola imbandita con commensali del tutto particolari. Persone in carne e ossa e pupazzi di pezza. A rappresentare i vivi e i morti. Gli eredi e gli antenati. Circondati dagli strumenti di lavoro della campagna. Zappe e rastrelli, falci e martelli. E dalle tradizionali zucche intagliate, con bocche ghignanti e occhi spettrali.

Il momento più toccante è la processione di venerdì, quando la Madonna dal volto di ragazza vesuviana si affaccia sul sagrato dalla Chiesa della Collegiata. Un canto polifonico discende dall’alto delle case dove le donne celate dietro le persiane esprimono la loro profonda devozione a Maria. Quando questa nenia orante finisce c’è un attimo di sospensione e di commozione, poi attacca la banda e inizia la processione. La Vergine, con in braccio il bambino, sfila portata a spalla per l’antico borgo medievale entrando e uscendo da tutte e quattro le porte delle mura aragonesi, stendendo così il manto della sua protezione sugli abitanti.

Parlare di neve con questo caldo torrido può sembrare blasfemo. Ma proprio qui sta il prodigio compiuto dalla Madonna del Casamale, che il 5 agosto del 358 in una calura uguale a quella di oggi, ha fatto scendere una rinfrescante nevicata su Roma. Papa Liberio le ha subito costruito la basilica papale di Santa Maria Maggiore sul colle Esquilino. La prima chiesa dedicata interamente a Maria e alla sua straordinaria condizione di madre e di vergine. Per festeggiarla, a Roma come a Somma, petali di fiori bianchi vengono lanciati nell’aria per ricordare i fiocchi di neve.

In origine la chiesa sommese era dedicata alla Madonna della salute, un dato che secondo alcuni studiosi sarebbe la dimostrazione del fatto che prima del culto cristiano vi sarebbe stato un tempio dedicato alla dea Diana, la cacciatrice delle selve che nei boschi sulle pendici Vesuvio avrebbe trovato il suo habitat ideale. La divina signora delle fiere aveva anche una particolare vocazione per la protezione della salute, in particolare delle fanciulle e delle giovani spose. Di qui l’idea che nel calco pagano di Diana la nuova religione abbia fatto colare il materiale agiografico della vergine cristiana. Inoltre, nei santuari dedicati alla divina cacciatrice si usavano le felci per divinare il futuro. E le foglie raccolte in questi giorni dai Sommesi sulla Montagna gemella del vulcano appaiono come il testimone di una storia millenaria che passa di mano in mano. Ma se le continuità storiche non sono sempre certificabili con una Pec, il desiderio della comunità di ancorare l’oggi al suo passato remoto è più che legittimo. È il segno tangibile della passione per la propria genealogia e della voglia di ancestralizzare il presente, di investirlo dell’autorità che viene dal tempo. E trasformare così la storia in mito delle origini.

I detrattori dei beni culturali antropologici, coloro che predicano contro il folklore, che considerano pizza e mandolino deleteri per l’immagine dell’Italia all’estero, dovrebbero fare una capatina al Casamale, per vedere che cos’è un patrimonio vivente, visto che nell’ultima edizione ci sono stati quaranta mila visitatori. Sarebbe l’occasione giusta per omaggiare una delle feste più antiche della Campania e compiere quel gesto di doveroso rispetto che Ivano Fossati cantava a proposito della musica che nasce dal basso: “Alzati che sta passando la canzone popolare… se c’è qualcosa da dire ancora, se c’è qualcosa da capire ancora, ce lo dirà”.

Tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Europa c’è il sostegno alla creatività delle diverse culture. E troppo spesso ci si dimentica che la cosiddetta cultura popolare è una di queste. E che il suo giacimento di idee, credenze, arti, saperi, memorie, immaginazione è l’ultimo baluardo contro l’omologazione indotta dalle economie e anche dal turismo di massa. Se c’è un buon motivo per venire a visitare il Mezzogiorno e l’Italia è proprio per la sua differenza culturale. Che si legge nelle pagine degli scrittori, è impressa nei dipinti dei musei, abita nelle rovine archeologiche, rivive nelle botteghe dei presepi, risuona in danze e canti, riecheggia nelle tradizioni culinarie. E in questi giorni si assapora nei fiumi di vino catalanesca e nello sfolgorio beneaugurante delle lucerne di Somma.

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Elisabetta Moro
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