Quella serata a Capri cantando in napoletano. Il mio ricordo di Marc Augé su il Mattino del 25 luglio 2023
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La mandragora ha colpito ancora. L’erba cattiva ha prima mandato in ospedale alcuni intossicati e ora manda al macero tonnellate di spinaci, perché nessuno li vuole più. Ed è psicosi verde. Una paura che affonda le sue radici nella storia di questa pianta allucinogena, tipica del Mediterraneo. Il suo potenziale velenoso è noto da sempre, tanto che nell’antichità si usava durante le operazioni chirurgiche per narcotizzare il paziente. Ma se in dosi massicce stende sul lettino l’ammalato, in piccole quantità gli fa vedere mondi psichedelici che angosciano e spaventano. Proprio per questo è sempre stata un’arma formidabile nelle mani di maghi, streghe e ciarlatani. Qualche goccia somministrata al momento opportuno e il prescelto cade vittima al destino.
La più celebre testimonial dei poteri magici della mandragora è la maga Circe. Racconta Omero nell’Odissea che la sua bevanda affatata trasforma i compagni di Ulisse in altrettanti maiali grufolanti. Solo il re di Itaca si salva, perché ingerisce un antidoto che contrasta gli effetti del filtro. Ma la metamorfosi porcina non è casuale. Perché un altro effetto attribuito a questa pianta è quello di risvegliare la pulsione erotica, di cui i porci sono notoriamente ben dotati.
Nella Bibbia, infatti, la mandragora viene citata proprio a proposito dell’amore sensuale. In Genesi si racconta che un giorno Lia, una delle mogli di Giacobbe, cerca di convincere il marito a passare la notte con lei. Era il periodo della mietitura del grano e il loro figlio Ruben torna dai campi con delle piante di mandragora che subito ingolosiscono l’altra moglie del patriarca, Rachele, che fino ad allora non è riuscita a dargli nessun erede. Perciò chiede a Lia di avere un po’ di quelle radici che stimolano la fertilità. Alla fine, le due giungono ad uno scambio equo. L’una cede l’erba magica mentre l’altra cede il coniuge per una notte torrida. Entrambe ci guadagnano una gravidanza.
E sempre l’unione carnale è il movente dei protagonisti de La mandragola di Machiavelli, la più bella commedia del Rinascimento italiano. Una farsa erotica scritta nel 1518 in cui la presunta proprietà di combattere la sterilità viene usata per raggirare un marito geloso e troppo anziano per fecondare la giovane moglie. Così viene persuaso che l’unico modo per favorire una gravidanza sia far ingerire alla sua Lucrezia una buona dose di quel principio attivo. La terapia però ha il grave effetto collaterale di renderla velenosa, al punto che il primo partner dopo la cura è destinato a morire. Con la complicità di frate Timoteo – interpretato mirabilmente da un machiavellico Totò nel film La Mandragola di Alberto Lattuada del 1965 – il bel Callimaco riesce ad infilarsi nel letto della donna che ama segretamente. I due se la spassano allegramente, con il permesso accordato dal marito, messer Nicia, fatto cornuto e contento. Nella trama boccaccesca l’autore del Principe cela una denuncia contro la doppia morale della Chiesa, perciò l’opera viene messa all’indice dall’Inquisizione. Seguendo lo stesso destino della radice che le dà il titolo. Infatti, fin dal Medioevo viene proibito ai cristiani di raccogliere queste erbe considerate demoniache. La violazione del divieto manda il peccatore diritto all’Inferno. E a peggiorare la fama della pianta ha contribuito anche la forma della radice che somiglia a un piccolo uomo. Di qui è nata la leggenda secondo cui quando viene eradicata piange e urla. E chiunque la senta muore all’istante. Ma come sempre accade nella storia dell’umanità, fatta la legge trovato l’inganno. Così si legavano le foglie alla zampa di un cane, per poi allontanarsi a distanza di sicurezza, mentre l’ignaro amico dell’uomo con un solo passo le sradicava senza conseguenze.
Insomma, la mandragora è una pianta con un potenziale naturale e simbolico immenso, da maneggiare con cautela. Come impara a sue spese Harry Potter. Il maghetto occhialuto uscito dalla penna Joanne K. Rowling. Anche lui ha dovuto imparare a riconoscerne le foglie e a distinguere il bene e dal male.
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