Settimanale F del 14-06-2017
C’è un piacere più immediato del cibo? Mangiare non è solo sfamarsi, ma gustare un piatto che ci fa vivere un godimento totale. Un piacere per gli occhi, per il gusto, per l’olfatto: ogni volta che ci sediamo a tavola stimoliamo almeno tre sensi. Un piacere creato attraverso mescolanze di ingredienti diversi, incontri, condivisioni.
Ne parliamo con Elisabetta Moro, antropologa dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, che ha scritto con il collega Marino Niola.
Andare per i luoghi della dieta mediterranea (il Mulino), uno dei testi di cui si è parlato durante Dialoghi sull’uomo, il festival di antropologia del contemporaneo che si è tenuto nei giorni scorsi a Pistoia (dialoghisulluomo.it).
Cosa vuol dire provare piacere con il cibo?
«Vuol dire godere di quel racconto straordinario che è la gastronomia, ovvero la fantasia nel mescolare i cibi nata attraverso gli scambi tra i popoli. L’uomo si è evoluto culturalmente per il gusto di assemblare sapori diversi e farli stare assieme, non solo perché aveva bisogno di mangiare per sopravvivere. Altrimenti avremmo la stessa alimentazione di sussistenza degli animali».
Che influenza ha il cibo sulla nostra vita?
«Mangiare coinvolge la persona a 360 gradi: influisce sulla parte biologica, ma anche su quella emotiva e sentimentale. La dieta mediterranea, di cui parliamo nel nostro libro, ci fa stare bene perché è sana e ci arricchisce come persone».
Cosa ha di così speciale?
«Per esempio, la successione di piatti e portate. C’è un’organizzazione dei gusti che ha un senso: un sapore deve aprire lo spazio a quello successivo. Ci sono culture, per esempio, che usano la pasta come contorno, noi invece l’abbiamo spostata al primo piatto dandole una dignità completamente diversa».
Ma le regole cosa c’entrano con il piacere?
«Il piacere si scatena proprio dall’applicazione di questi principi di base che hanno a che fare con un equilibrio di sapori testato nel tempo. Per un napoletano è un’eresia preparare gli spaghetti al pomodoro con l’origano al posto del basilico: anche il piatto più semplice, per scatenare piacere, deve essere costruito in un certo modo. È come una sofisticata “grammatica”, sempre in continua evoluzione. Una gara dell’ingegno nell’aggiungere in modo appropriato i vari elementi».
Quali sono gli elementi alla base del piacere?
«Se parliamo di dieta mediterranea: il grano, l’olio d’oliva e il vino».
Ma se si eccede con il bere…
«Il vino arriva da Dioniso, il dio del piacere. Quando a tavola beviamo un bicchiere di vino cambia il nostro “bioritmo sociale”, si produce una specie di energia mentale individuale, ed è per questo che nell’antichità i filosofi, durante i loro simposi, a fine pasto ne bevevano un po’. Ma stabilivano già dall’inizio quale doveva essere la misura. Se beviamo troppo, infatti, il cervello non produce più idee, ma va alla deriva».
Come mai spesso si ricerca il piacere andando oltre misura?
«Riguardo al cibo e all’alcol il problema è nella contaminazione con altri sistemi alimentari, per esempio quello anglo-americano che non ha alle spalle la nostra cultura alimentare. Chi è stato abituato al gusto dei cibi semplici e sani – penso solo alla merenda con l’uovo sbattuto e zucchero – ha sperimentato un piacere a “rilascio lento”: chi ha questa conoscenza non finisce obeso, come accade invece a chi è stato abituato sin da piccolo al cibo spazzatura».
Dal libro emerge che per provare sempre più piacere dobbiamo includere nuovi sapori: per esempio, in Italia, con l’arrivo delle spezie cambia tutto.
«Il bello è che certi alimenti li abbiamo talmente incorporati che non ci accorgiamo più che, in origine, sono stranieri. Certo, i nuovi sapori li integriamo e iniziamo a cucinare quell’alimento come piace a noi. Il caso più clamoroso è quello del pomodoro: arriva dalle Americhe nel Sedicesimo secolo e, all’inizio, viene guardato con sospetto. In Francia lo si considerava come una pianta ornamentale da regalare alle signore a corte. È stato un cuoco napoletano a usarlo per la prima volta per condire i maccheroni».
I piatti degli chef ci danno più piacere?
«Gli chef sono talenti straordinari, ma è più importante la cucina popolare costruita nei secoli dalla collettività. Si tratta di piatti collaudati dalla storia del gusto, fuori dalle mode. Per esempio, la dieta mediterranea è fatta di veri e propri capolavori: dalla parmigiana di melanzane al cacciucco livornese, alla farinata genovese. Spesso, come in quest’ultimo caso, si tratta di pochissimi ingredienti, farina di ceci, sale e olio, che creano un’opera d’arte alimentare».
Molte persone fanno diete che comportano rinunce a vari alimenti. Lì dove sta il piacere?
«Provano piacere nel togliere cose che temono possano incidere sulla loro salute. Non è un piacere del corpo, ma della mente. È come se dicessero: sono contento perché non ho mangiato dei veleni».
Esiste la ricetta per mangiare quello che ci dà piacere senza sentirsi in colpa?
«L’unico modo è farlo pensando che la felicità è un nostro diritto. Inoltre, è bene sapere che molta parte dalla nostra salute non dipende da quel che mangiamo. Il fatto è che le persone hanno la sensazione che almeno il cibo lo possono controllare, mentre il resto sfugge. Ma anche il tempo fugge e quindi, nella giusta misura, consiglio il carpe diem anche con il cibo».