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Quel lato così femminile del Totò surrealista – il Mattino

21 Giugno 2017

L’attore è la femminilità portata a coscienza, diceva Carmelo Bene. Perché fa affiorare sulla scena quell’affinità nascosta che unisce il maschile e il femminile.
Una diagonale tra i due generi che attraversa il volto sghembo di Totò. Cui l’università Suor Orsola Benincasa, in collaborazione con la Regione Campania e la Fondazione Campania dei festival, dedica un convegno internazionale intitolato, appunto, «Diagonale Totò». E se la quintessenza attoriale è femminile, quando Antonio de Curtis si cala nei panni di una donna, la sua arte diventa vertigine del senso. Compie un’autentica truffa di genere che induce donne e uomini a dubitare di sé.
Come in «Totòtruffa 62», regia di Camillo Mastrocinque, quando interpreta Lola, sorella di se stesso. Parrucca bionda, vestito bon ton, collana di perle. E riesce nell’audace impresa di sedurre il padrone di casa, sul set Luigi Pavese, facendogli dimenticare di essersi recato dai suoi affittuari morosi per riscuotere l’affitto. Il suo sangue che all’arrivo ribolle di rabbia, comincia a fremere di passione. Basta un tête a tête sul divanetto, e il Cavalier Terlizzi perde la testa. D’altra parte si sa che la carne è debole, e lui la bella signora se la spoglia con gli occhi, guadagnandosi l’appellativo di Spogliatoio. Surrealismo e dadaismo colpiti e affondati in una sola parola.
In «Totò Diabolicus», il film del 1962 diretto da Steno, la giovane Lola si trasforma invece nella vecchia baronessa Laudomia di Torrealta. Plurivedova, sospettata di uccidere tutti gli uomini che ama, due mariti più il fratello Galeazzo, per non vederli invecchiare. Per lei ogni ruga è un solco che sfigura la meglio età. Arsenico e vecchi merletti in salsa napoletana. Due pezzi di bravura ineguagliabili, che mostrano la straordinaria capacitàdel Principe di incorporare il femminile.
Avrebbe detto lo scrittore francese Roland Barthes, che Totò non recita la donna, né la imita, ma semplicemente la significa. Ne coglie di fatto l’essenza, per restituirla allo spettatore tradotta nel suo corpo. Proprio come un grande On’Nagata, l’attore maschio che interpreta i ruoli femminili nel teatro giapponese kabuki.
Negli stessi anni in cui il genio napoletano veste i panni del secondo sesso, anche altri animali da palcoscenico interpretavano ruoli femminili. Un artista sublime come Paolo Poli s’infilava nelle crinoline di fanciulle rinascimentali, leggiadre e imbellettate, del tutto surreali. Oppure si avvolgeva nel kimono della Tonkinese, una donnina orientale, iperbolica per l’altezza fisica e scenica del teatrante toscano. Quella sua comicità irriverente,
riassunta mirabilmente nello Speciale di Raitre «Quella donna sono io», era fatta di doppi sensi eleganti sibilati da una lingua biforcuta, pungente e velenosa. Le sue canzoncine sconce e maliziose, insieme ai suoi travestimenti che avevano il sapore del travestitismo, lo facevano apparire continuamente sopra le righe. Più che femmina, meno che donna.
Raimondo Vianello, invece, approfittava della sua longilinea androginia per camuffarsi da pulzella. Con l’effetto comico del lupo che si nasconde sotto le mentite spoglie della nonna di cappuccetto rosso. E, last but not least, Gino Bramieri con il suo corpaccione da signora, la voce leggera e l’ironia dolce del bonvivant, sembrava una comare di ringhiera anche quando vestiva il frac. Totò invece, che non era bello neanche come uomo, riusciva a sembrare una vera donna. La classica bruttina interessante e inspiegabilmente sensuale. Civettuola, seduttiva, sdegnosa, ritrosa. Insomma, come recitava il promo di Totò e le donne, il tipico esemplare delle secolari nemiche dell’uomo. Inopportune, prepotenti, maligne, superficiali, egoiste, invidiose, noiose, esose. Eppure meravigliose. Perché, come ha scritto in una delle sue poesie, la creazione del gentil sesso… «è stato nu lavoro ‘e fantasia, è stata ‘na magnifica trovata, e su questo non faccio discussione, chi l’ha criata è gghiuto ‘int’ ‘o pallone!».

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Elisabetta Moro
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