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Una vita con le sirene incantatrici – Corriere della Sera

11 Settembre 2019

Le sirene hanno tremila anni, ma non li dimostrano. E sono ancora un evergreen dell’immaginario. Oggi nuotano nel mare del web, conquistano serie televisive, vengono avvistate nelle acque norvegesi. O in quelle di Israele, dove il sindaco di Kyriat Yam ha messo in palio un premio per chi immortala la donna pesce che pare abiti quella baia. L’istituto statunitense di oceanografia, NOAA,è costretto addirittura a diramare comunicati che smentiscono l’esistenza di queste creature. Ma molti non sentono ragioni. E danno credito alla teoria pseudoscientifica della scimmia acquatica, secondo la quale gli abissi sarebbero abitati da ominidi anfibi. Una specie di nostri cugini marini che, ad un bivio dell’evoluzione, avrebbero preso la via del mare anziché quella terrestre. Insomma, le sirene continuano ad incantarci perché saziano la nostra atavica fame di mito. D’altra parte, non basta la ragione per soddisfare la volontà di sapere degli umani. E la mitologia è sempre lì, pronta ad offrire racconti, simboli, immagini, idee, per arrivare a quella soglia del possibile dove il rigore logico annaspa e si arresta. Platone ci aveva avvertiti. Qualsiasi fenomeno può essere spiegato seguendo le regole del logos, oppure attingendo al repertorio del mythos. La vera differenza, scrive il filosofo in un passo del Protagora, è che il mito è sempre più bello. Con buona pace del razionalismo duro e puro, che ha creduto in un’umanità totalmente demitizzata, tutta ragionamento e controllo. Senza sogni e incubi, allucinazioni e illusioni.

Bisogna riconoscere, invece, che il mito non solo esiste, ma resiste e non possiamo farne a meno. In più si adatta perfettamente ai tempi, cambiando forma e format. Al punto tale che le sirene hanno mutato radicalmente aspetto e quasi non ce ne siamo accorti. Quelle di cui parla Omero avevano ali e zampe di uccello. Quelle che conosciamo noi finiscono in una coda di pesce. Una metamorfosi clamorosa, a dimostrazione del fatto che l’aspetto fisico non è la vera arma delle incantatrici. Perché la loro seduzione sta nella voce. Non c’è sirena senza l’incanto del canto. E quel che dicono è tutt’altro che ovvio o banale. Ne sa qualcosa Ulisse, che le incontra in un episodio cruciale dell’Odissea, diventato non a caso il fotogramma originario dell’Occidente. Il vincitore di Troia si fa legare all’albero della nave per ascoltare le mitiche creature senza perdersi. Del resto, la maga Circe lo ha istruito bene sul da farsi. Ai marinai vanno tappate le orecchie con la cera perché altrimenti, stregati dalle fanciulle fatali, abbandonerebbero i remi. Al tempo stesso però la profetessa del Circeo raccomanda all’eroe di non perdersi il piacere inimmaginabile di quel divino concerto. Così il re di Itaca non se lo fa dire due volte e mette in atto il piano. Le sirene cominciano a cantare e a promettergli la conoscenza assoluta. Del passato, del presente e del futuro. Da questa esperienza panica lui esce sconvolto, ma più forte di prima. Mentre le incantatrici escono smaltate, poiché fino ad allora nessuno aveva resistito alla tentazione di avvicinarsi alla sorgente del piacere. Con il senno di poi, l’eroe vince la battaglia ma non la guerra. Perché diventa indiscutibilmente il fondatore della nostra civiltà. Ma le grandi seduttrici continuano ad occupare l’altra metà della storia. Evidentemente abbiamo ancora bisogno di loro, perché ci dicono qualcosa di noi. Visto che il loro corpo ibrido, metà animale e metà umano, che tiene insieme natura e cultura, istinto e controllo, poesia e ragione, raffigura quella duplicità che volenti o nolenti ci appartiene. Con buona pace della Chiesa che per secoli ha rinchiuso queste creature mitiche nel recinto dei mostri, buone solo per adornare i capitelli delle cattedrali. Ma l’esilio è durato poco. Non a caso, dal Romanticismo in qua, gli artisti hanno rovesciato il senso del mito schierandosi decisamente dalla parte delle sirene. L’incontro con le ammaliatrici diventa un’occasione estetica vertiginosa, un vortice di passioni. Come nel dipinto La sirenadi Frederic Leighton, dove una seducentissima ragazza bionda con la pelle di luna bacia un pescatore. Il pericolo scompare dall’orizzonte, per lasciare spazio all’amore. Proprio come in Lighea, ilbellissimo racconto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Ma è con la Sirenettadi Hans Christian Andersen e ancor di più con la sua versione cartoon che siamo arrivati ad immedesimarci con la guizzante Ariel. Perché, come diceva lo sceneggiatore del film di Disney, Howard Ashman, gay dichiarato, c’è una sirena in ciascuno di noi. Ma non tutti sono disposti a riconoscerla.

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Elisabetta Moro
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