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Natale, se nello scambio dei doni c’è lo Spirito della generosità – il Mattino

22 Dicembre 2019

Goethe diceva che per vivere felici bisogna portare sempre con sé due borse. Una per dare, l’altra per ricevere. L’autore del Faust ripeteva spesso questa battuta che spiazzava tutti, per sottolineare che il dono è il principio attivo della vita. E soprattutto che non è un investimento a perdere, uno spreco di risorse, come sostengono i nemici dei regali di Natale. Al contrario, donare è il motore della società e di conseguenza anche dell’economia. In fondo la pensa così quella quota sempre più elevata di persone che spende una parte dei suoi soldi in beneficenza per redistribuire parti più o meno cospicue del proprio avere. Ma, in fondo, anche del proprio essere. Perché anche nel regalino più piccolo che facciamo, in realtà c’è una parte di noi. Non a caso lo chiamiamo presente. Perché sta lì a segnare la nostra partecipazione alla festa, a contrassegnare il nostro posto nella rete della comunità. Ed è proprio nelle relazioni che abita lo spirito del dono.

Gli antichi romani lo chiamavano “animus donandi”. E si riferivano in particolare all’intenzione di dare senza pretendere immediatamente un tornaconto. Facendo invece un investimento sul futuro.

I Maori, il popolo polinesiano che abita la Nuova Zelanda, a questo aspetto immateriale e invisibile dei regali danno addirittura un nome, lo chiamano hau e lo considerano una vera e propria entità. Per loro, infatti, ogni cosa regalata ha un’anima, una energia positiva che fa circolare l’oggetto nella società e che prima o poi induce chi lo ha ricevuto a ricambiare. Non per nulla le parole che accompagnano il dono in tutte le lingue hanno a che fare con la solidarietà, la reciprocità, la grazia. E la grazia, come diceva la scrittrice e fervente cattolica Cristina Campo, è quella dote particolare che alcune persone cercano di imparare, mentre per altre è un dono di natura. Questa dote umana sarebbe la materia prima della Grazia con la maiuscola, che è invece quella divina. Non a caso in molte religioni all’origine di tutto c’è proprio un dono di Dio agli uomini.

Certo è che grazia, grazie e gratitudine sono l’ossigeno che fa respirare a pieni polmoni la società. Perché sono forze positive, corroboranti, tonificanti. D’altronde la generosità è sempre un investimento sul futuro, un’obbligazione a lungo termine.

Il paradosso è che a mostrarci i vantaggi di questa economia altruistica non sono stati i guru della finanza, ma i popoli primitivi. In particolare gli indigeni delle isole Trobriand, un arcipelago che si trova tra il nord dell’Australia e la Nuova Guinea. I pescatori di quell’arcipelago corallino si mettevano in canoa a rischio della vita per regalare collane e braccialetti di conchiglie agli abitatori dell’isola più vicina. I quali a loro volta partivano per scambiare quegli oggetti con la popolazione dell’isola successiva. Fino a formare un anello perfetto che coinvolgeva tutti gli isolani. Per raddoppiare i contatti e le occasioni d’incontro, le collane passavano di mano in mano seguendo il senso antiorario, i braccialetti prendevano invece la circonvoluzione opposta.

Questo scambio, che nella lingua locale si chiama kula, sembrò molto strano nell’Ottocento ai primi antropologi che lo hanno studiato, perché a distanza di molti anni ciascun oggetto tornava nelle mani del proprietario iniziale. Apparentemente si trattava di un giro di regali inutile. Un attivismo frenetico a somma zero. Invece l’antropologo francese Marcel Mauss, nipote del celebre sociologo Émile Durkheim, capì che lo scambio non aveva un valore materiale ma simbolico. Quello che veramente i Trobriandesi facevano era alimentare relazioni umane. I loro peripli oceanici si trasformavano puntualmente in feste conviviali. E i gioielli assumevano la funzione di testimoni di una staffetta fra amici e alleati. E diventavano nel tempo i testimoni oggettivi delle storie di tutti quei viaggi e quegli incontri.

A pensarci bene è quello che facciamo anche noi scambiandoci i regali a Natale, a volte persino ricicciandoli o sbolognandoli. Di fatto mettiamo in moto una girandola di pacchetti, che concilia reciprocità e gratuità, generosità e socialità, obbligo e piacere. In questo senso anche il più consumistico dei nostri White Christmas è animato da una energia collettiva del tutto speciale. Che non sta nelle cose ma nelle intenzioni. Non sta nel valore materiale bensì in quello spirituale. Perché in fondo, chi più e chi meno, in queste feste, siamo tutti posseduti dallo spirito del dono.

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Elisabetta Moro
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