Quella serata a Capri cantando in napoletano. Il mio ricordo di Marc Augé su il Mattino del 25 luglio 2023
Marc Augé aveva Parigi nel cuore e il mondo nella…
«Gesù non aveva i social, ma li avrebbe usati di certo!». A dirlo è stato monsignor Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza Episcopale Italiana. Con questa dichiarazione acuta e spiazzante, il prelato ha di fatto benedetto i riti pasquali on-line. E ha messo la parola fine alle discussioni sulla necessità di riaprire le porte delle chiese, spiegando che data l’emergenza Covid-19 il web è a tutti gli effetti un vantaggio. Consente di partecipare senza contagiare nessuno. È la quadratura del cerchio tra partecipazione e prudenza, isolamento e raccoglimento.
Non c’è dubbio che il Nazareno è stato uno dei più grandi comunicatori della storia. Tanto che la sua Buona Novella, affidata a pochi discepoli, è arrivata ai quattro angoli del globo. E ancora oggi riesce a parlare al presente. Forse perché, come diceva Henry James a proposito della pittura sacra di Giotto, tiene miracolosamente insieme bellezza e semplicità. E proprio in questi giorni i Cristiani si preparano a rivivere le pagine più vibranti del Vangelo. Ripetendo i gesti del Salvatore, rievocando l’Ultima Cena con le sue speranze e la delusione del tradimento di Giuda, la preghiera sofferta nell’orto dei Getsemani, l’atteggiamento pilatesco di Pilato, che si lava le mani allontanando il pericolo di una grana politica con la stessa cura e apprensione con cui noi oggi scacciamo il coronavirus a forza di disinfettanti e sapone. Il processo sommario, la condanna scontata, la salita al Calvario. E poi il dramma della crocifissione, che però si rivela un inizio anziché una fine. Maria lacrimosa con sette spade nel cuore. La sepoltura, il sepolcro vuoto, la resurrezione. L’incredulità degli apostoli. San Tommaso che se non vede non crede, perciò infila il suo dito nelle piaghe di Cristo tornato in carne ed ossa a spronare gli apostoli ad andare e predicare. Un messaggio potente che si ripete da quasi duemila anni e che proprio per questo non è solo racconto, ma rito. Cioè ripetizione di gesti e parole, azioni e emozioni, in grado di renderci tutti testimoni viventi di una storia ancora nostra. Ecco perché dalle sacre rappresentazioni medievali, alle teatralissime processioni barocche, fino alla Via Crucis televisiva è stato tutto un ripetere, rifare, ripensare. Ma sempre con la partecipazione di popolo. Di corpi e anime, giovani e anziani, ricchi e poveri, uomini e donne. Invece per la prima volta quest’anno non sarà possibile compiangere, letteralmente piangere insieme, la morte di Cristo e nemmeno giubilare per la sua resurrezione. Se non nel confinamento di una miriade di case, appartamenti, stanze, residenze per anziani, letti di ospedale. Ma con il conforto dei riti trasmessi in streaming dal canale YouTube del Vaticano, seguito a ruota dalle Fanpage delle Archidiocesi, dalle pagine Facebook delle parrocchie e delle Confraternite, via via discendendo fino alle preghiere che molti parroci stanno organizzando sulle piattaforme di condivisione come Zoom, Hangoutmeet, Skype, Facetime, ecc.
Così novemila manifestazioni annullate in tutta Italia, vengono in buona parte ricollocate nel virtuale. Come la processione del Venerdì Santo di Procida, che per la prima volta dopo quattrocento anni non attraverserà l’isola di Arturo listata a lutto. Ma dalla Congrega dei Turchini verranno trasmesse le funzioni su Facebook. Lunedì in Albis le porte del Santuario di Madonna dell’Arco rimarranno chiuse e il paese blindato dalle forze dell’ordine, con sommo dispiacere dei fedeli che si preparavano ad offrire il loro sacrificio annuale in cambio di un miracolo. È dal Cinquecento che il popolo vestito di bianco, i piedi nudi e il cuore in mano supplica, prega e striscia davanti all’immagine di questa Madonna ferita al volto, in un autentico corpo a corpo devoto. Per questa volta dovranno accontentarsi di seguire la veglia sulla pagina Facebook del Santuario.
Monsignor Spreafico ha raccomandato di optare per la diretta e di evitare le registrazioni, per infondere un soffio di vitalità e di autenticità dentro i rituali on-line. Come dire, delocalizzazione in rete sì, imbalsamazione no grazie. Così la rivoluzione digitale che, nel bene e nel male, ha cambiato le nostre vite sta riformando la Chiesa. La sta aprendo a nuove opportunità. Ad anticipare questa primavera della comunicazione è stato Papa Francesco che, superando antichi tabù, su Twitter cinguetta le sue pillole evangeliche. Ma questa Pasqua rimarrà nella storia come un nuovo inizio, l’avvento dell’immateriale nello spirituale. Insomma, se fino ad ora sono stati i riti a fare la rete della comunità, quest’anno è la rete a fare i riti.
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