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La gestione del recovery alle donne meridionali – Il Mattino

5 Agosto 2020

Nell’Angelus di domenica Papa Francesco ha fatto un appello a rilanciare il lavoro nel post-pandemia. Per superare la crisi economica – ha avvisato il Pontefice – ci vorrà molta “solidarietà e creatività”. Solidarietà e creatività sono due virtù che le donne conoscono bene. Non per natura, ma per cultura. Perché sono due tasti sui quali l’educazione all’italiana batte da sempre. Soprattutto con le ragazze. Perché a loro, principalmente, viene insegnato dalla famiglia e dalla collettività, che occuparsi degli altri è un’azione virtuosa e preziosa. Appagante. Che realizza la persona e migliora la società. Il nostro modello culturale insiste anche sul potenziamento di un certo tipo di creatività, quella di cui parla Bergoglio, che non è tanto quella artistica, ma piuttosto quella particolare capacità di immaginare percorsi, inventare soluzioni, risolvere problemi. E come “problem solver”, le donne italiane meriterebbero il Nobel. Mentre quelle meridionali ne dovrebbero ricevere uno doppio. Perché la loro vita quotidiana è un percorso ad ostacoli. Visto che fanno le veci un po’ di tutti. Dello Stato che sistematicamente non le considera una priorità, dei servizi che le considerano supplenti ad honorem, della scuola che le ha arruolate come insegnanti di sostegno nell’upgrade tecnologico dei figli, con in più la beffa che mentre le mamme si fanno in quattro, il sistema della “didattica a distanza” si chiama con l’acronimo DAD. Che, ironia della sorte, in inglese significa papà. Ma non è tempo di rivendicazioni di genere. La situazione è seria e ci vuole la collaborazione di tutti. Allora perché non fare scendere le donne in campo per gestire il Recovery Fund? Averlo ottenuto è un miracolo, sprecarlo sarebbe un peccato. E per fare di questo assist europeo uno strumento di vero sviluppo è necessario avere una visione del futuro e una grande abilità nell’organizzazione del processo che, passo dopo passo, deve portarci alla meta. Cioè ad una società migliore di quella attuale. Che, come indicano con lungimiranza la Commissione europea e la presidente Ursula von der Leyen, si realizzerà se sapremo raggiungere l’equità di genere senza se e senza ma, perché la prima delle ingiustizie sociali è proprio questa. E insieme se riusciremo ad avere un ambiente più sano grazie alla riconversione verde delle produzioni. Se ci convinceremo una volta per tutte a coinvolgere le nuove generazioni nel mondo del lavoro, valorizzando le loro competenze che spesso hanno a che fare con nuovi saperi di cui c’è un bisogno assoluto, come il digitale. E qui viene l’altro grande tema, la digitalizzazione del Paese con reti veloci e tanta tecnologia a disposizione di tutti, cui va associata l’alfabetizzazione dei cittadini rimasti indietro. Grandi e piccoli. Ultimo, ma non per importanza, è urgente impegnarsi per dare buoni standard di cura e ottimi livelli di salute a tutti.

Sono tutti temi e problemi che necessitano un grande sforzo di immaginazione. Cui dovrà seguire un altrettanto grande sforzo di programmazione e organizzazione, che devono fare rima con semplificazione. Perché l’Italia è già abbastanza caotica, farraginosa e iperburocratica così com’è.

Il primo passo per innovare un sistema che fino ad ora non ha dato risultati esaltanti è chiedersi che cosa è mancato. E a questa domanda ha risposto in maniera netta e inequivocabile il premio Nobel per l’economia Amartya Sen. Sono mancate le donne. Perché nessuna società può ambire al benessere lasciandole in panchina. La storia lo dimostra in maniera inequivocabile. Dove si rinuncia al motore femminile, la società ne risente a tutti i livelli. E, per essere ancor più concreti, ne risente soprattutto il PIL (prodotto interno lordo), cioè le nostre tasche.

I dati Svimez del 2019 e 2020 sul Mezzogiorno confermano il teorema di Sen. In Campania, Sicilia, Puglia e Calabria, il tasso di occupazione femminile raggiunge appena il 30% contro il 66% della media europea. Abruzzo, Sardegna e Molise, fanno molto meglio attestandosi al 45%. Ma non basta. Per capirci, l’Emilia Romagna viaggia sul 65%. Con una ricerca ad hoc l’Associazione per lo sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno ha dimostrato che «la questione femminile è una delle facce più evidenti e problematiche della più generale Questione Meridionale». Insomma, se la ripartenza dell’Italia, come dicono i più autorevoli osservatori, deve iniziare dal Sud, è lampante che o si comincia dalle donne meridionali o sarà un fallimento. Non perché loro hanno bisogno di lavorare, ma perché noi abbiamo bisogno del loro lavoro.

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Elisabetta Moro
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