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Recensione di Titti Marrone del mio nuovo libro Baciarsi (Einaudi Ed.) su Il Mattino del 25 maggio 2021

26 Maggio 2021
Nei giorni in cui “uscimmo a riveder le stelle” dopo la segregazione nel carcere della diffidenza e dell’assenza di contatti fisici, arriva un libro gioioso e colto, che libera mente e fantasia. Il titolo è tutto un programma, “Baciarsi” (Einaudi, pagg. 128, euro 12). È stato scritto da una coppia di antropologi felicemente legata in sodalizio umano e intellettuale, Elisabetta Moro e Marino Niola, come pochi capaci di coniugare leggerezza, originalità e profondità analitica. Dal frammentario del discorso amoroso i due estraggono il gesto più significante, estremo, plastico. Con l’avvertenza, assai appropriata ai tempi del contatto-contagio, che la “eclissi del bacio” cui ci ha obbligati la pandemia ha ricadute come “un’afasia dei sentimenti, un mutismo degli affetti, un lockdown dell’anima”. Eppure, non sempre il bacio è stato collegato al bacillo, né in tempi di malattie dilaganti, gli scienziati lo hanno ogni volta messo sul banco degli imputati: quando spaventava l’allarme Aids, l’immunologo Aiuti baciò sulla bocca una ragazza positiva all’Hiv per dimostrare che non era la saliva a trasmetterlo.
Moro e Niola premettono che il bacio può essere rivoluzionario, provocatorio, ossequioso, erotico, liberatorio e può assumere “i significati più diversi. Dalla tenerezza alla reverenza, dalla venerazione religiosa alla passione amorosa, dalla galanteria al baciamano al bacio socialista di Breznev e Honecker”. Ci sarà un motivo per cui i totalitarismi lo vedono con sospetto. Mentre perfino nell’Inghilterra puritana è visto come un simbolo di libertà, tant’è che Georgiana Spencer, antenata di Lady D, nel 1784 lo elargiva come un volantino elettorale anticonservatore (il “bacio di scambio”). Simili spunti estratti dalle pieghe della storia trascinano chi legge in un viaggio nella filematologia (la scienza dei baci: esiste!), nell’antropologia, nella storia della letteratura, del costume, delle arti figurative, fino al bacio digitale. Se l’etimologia collega la parola al greco (dal verbo “baskiano”, sussurrare, ammaliare, affascinare), la ricerca antropologica ne individua l’origine in un atto di cura materna: il primo bacio del mondo fu scambiato all’origine dei tempi, quando una madre scimmia imboccò il suo cucciolo con cibo premasticato. Da lì la connotazione del bacio come atto che dà sazietà: sensuale, amorosa, carnale. E del resto anche Freud indica la ricerca dell’altrui bocca come prolungamento del gesto primordiale di succhiare il seno materno. Questo porta a un’altra caratteristica del bacio: produce un ormone – la kisspectina – che provoca in modo naturale una beatitudine analoga al piacere indotto dalla cocaina. Insomma, sarebbe riduttivo confinarlo nella definizione rostandiana dell’apostrofo rosa, giacché è molto di più. È un complesso “sigillo a fior di labbra” che può essere una cosa e il suo contrario: non per niente il bacio amoroso di Romeo e Giulietta e quello traditore di Giuda sono agli antipodi.
E poi, c’è modo e modo di baciare. Perciò l’excursus dei due antropologi indugia sul kataglottisma, cioè il bacio con la lingua descritto già da Aristofane, scandaloso secondo i super puritani, delizioso per i francesi che ne fanno un’arte, quella del “galocher”, lo slinguazzamento. Fermandosi sulle infinite incarnazioni letterarie, la palma va al bacio per eccellenza, quello dantesco tra Paolo e Francesca (“La bocca mi basciò tutto tremante”), seguito a ruota da quello di Catullo che desiderante implora Lesbia (“Dammi mille baci, poi cento”). Ovviamente, nella letteratura romantica il bacio fa la parte del leone, anche in declinazioni sdolcinate. Punteggia le ritualità delle religioni, compreso l’ebraismo che prescrive il bacio allo stipite delle porte, dove s’immagina la presenza di una mezuzah, piccola pergamena della Torah. Ma soprattutto la pratica cattolica valorizza il bacio, sia nei rituali paganeggianti della Settimana Santa, o di santuari come quello di Montevergine, sia in testi come il sublime Cantico dei Cantici.
Le arti figurative sono un tripudio di baci, da quello di Klimt all’altro surrealista di Magritte allo scatto di Doisneau, dove il marine bacia un’infermiera incrociata in Times Square alla fine della guerra. E i baci nel cinema sono quintessenziali almeno dai tempi di Via col vento, dove Rhett stringe a sé Rossella e le dice: “Dovreste essere baciata più spesso, e da qualcuno che sa come farlo.” Contro il personaggio interpretato da Clark Gable e contro tutto il film c’è la recente levata di scudi del revisionismo neofemminista, che vi ravvisa segni evidenti di “arrogante sessismo”. Stessa scure calata anche sul principe de “La bella addormentata nel bosco”, chiaro esempio di predatore sessuale per i ridicoli fanatismi del bigottismo politically correct. Tutto questo dimostra come non sia vero che “a kiss is just a kiss”, un bacio è solo un bacio: non è così semplice, a quanto pare. C’è forse un solo tipo di bacio in grado di sfuggire alla mannaia di questa dissennata nuova censura, ed è quello virtuale. Dopo un anno e mezzo di distanziamento e lockdown degli affetti lo lasciamo volentieri a chi si ossessiona in simili ridicole condanne.
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Elisabetta Moro
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