Quella serata a Capri cantando in napoletano. Il mio ricordo di Marc Augé su il Mattino del 25 luglio 2023
Marc Augé aveva Parigi nel cuore e il mondo nella…
Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza. Lo dice Ulisse ai suoi compagni impauriti dalla temeraria navigazione oltre le colonne d’Ercole. Acque ignote dove, secondo il mirabolante racconto di Dante nel XXVI canto dell’Inferno, termina il “folle volo” del capitano e della sua ciurma. Il tragico naufragio dell’eroe fondatore del pensiero occidentale torna continuamente nella letteratura e nelle arti quale emblema della natura dell’uomo, affamato di saperi e tormentato dalle domande sul senso della vita. Perché vivere è più facile a farsi che a dirsi. Ma è proprio questo desiderio di sapere il vero motore dell’umanità. Lo stesso che ha spinto l’uomo a sbarcare sull’astro notturno per rispondere alla domanda che si fa Leopardi, “che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, Silenziosa luna?”.
È questo il nucleo incandescente del “Viaggio meraviglioso tra scienza e filosofia” che il MUSE di Trento offre al visitatore. Uno splendido percorso iniziatico nel labirinto del pensiero, dove filosofia e scienza si incontrano e talvolta si scontrano, si spiano e si contrastano, si studiano e si superano. Per scoprire che l’una non può fare a meno dell’altra. Perché c’è scienza nel mito, ma c’è anche mito nella scienza. Poiché, come dice Platone nel Protagora, tutto può essere raccontato sia attraverso il mythos che attraverso il logos, ricorrendo all’affabulazione o alla ragione. L’unica differenza, aggiunge il filosofo, è che il mito è più bello. E sembrano giungere alla stessa conclusione anche l’ideatore della mostra Stefano Zecchi e la curatrice Beatrice Mosca, visto che siglano la fine del percorso con una celebre frase del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche che recita “tutte le cose eternamente ritornano e noi con esse, e noi siamo già stati, eterne volte, e tutte le cose con noi”.
Di fatto questa esposizione immersiva rende plasticamente visibile e sensorialmente sperimentabile una sequenza di idee che nel tempo hanno plasmato la mentalità dell’Occidente attraverso continui aggiustamenti, suggestioni, ripensamenti. E anche revisioni, come quella cui ci costringe oggi l’emergenza climatica sbattendoci in faccia le conseguenze dell’antropocentrismo, che ha caratterizzato buona parte della nostra storia, anteponendo gli interessi dell’uomo a quelli di tutte le altre specie. E ci ha fatto dimenticare che anche noi umani siamo natura e non possiamo pensarci antagonisticamente rispetto agli altri viventi. Se non a costo di una catastrofe ecologica.
Così ci troviamo davanti ad un nuovo tornante della storia, a nuove domande sul domani, alla necessità di trovare risposte all’altezza del momento. Ecco perché tornano utili le suggestioni del passato. Per comprendere che da sempre l’uomo genera teorie e filosofie per fronteggiare l’incognita del domani. Ci vuole un mito, scrive Cesare Pavese, per descrivere a fondo quest’esperienza che è il mio posto nel mondo. Ci vuole un racconto potente, che sommuove le anime e galvanizza gli spiriti, perché solo così si attivano le energie dell’umano. Lo hanno fatto le culture antiche, le religioni, l’umanesimo, le scienze moderne. Lo ha fatto Galileo Galilei inventando il cannocchiale per avvicinare alla punta del suo naso l’infinitamente lontano. Lo ha fatto Isaac Newton, scegliendo la mela, il più simbolico dei frutti dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre, per spiegare l’attrazione universale. D’altra parte “tutto ciò che passa è soltanto un simbolo”, scrive Goethe nel Faust. Come dire che nei meandri dell’esistenza e della conoscenza l’uomo ha bisogno di segni ad alta definizione per orientarsi. Per accettare le incognite della vita. Come fa la fisica quantistica immaginando, con buona pace di Albert Einstein, che dio giochi a dadi con il mondo. E che la vita materiale non si spieghi con delle regole coerenti, ma con un corpo a corpo tra il caso e la necessità. I fratelli coltelli della realtà.
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