Quella serata a Capri cantando in napoletano. Il mio ricordo di Marc Augé su il Mattino del 25 luglio 2023
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Quest’anno, la festa dei Gigli di Nola è iniziata come dio comanda. Ma a Brooklyn. La paranza dei bambini ha fatto ballare il giglio piccolo al tradizionale canto di “O’ Giglio ‘e Paradiso”. Inaugurando così i festeggiamenti in onore di San Paolino patrono di Nola. Mercoledì sera ci sarà l’alzata notturna del giglio alto 25 metri è dal peso di 4 tonnellate, quello degli adulti. E domenica sarà “Giglio Sunday”, la giornata che chiude le celebrazioni nella Grande Mela con la messa solenne e la processione del giglio nel celebre quartiere di New York, sollevato questa volta dai veterani, gli Old Timers.
I nolani sono approdati a Williamsburg, la parte di Brooklyn ai piedi del ponte, nel 1880, portando con sé la nostalgia della patria lontana. Dal 1909 la loro festa si celebra con regolarità. Mentre nella città di Nola anche quest’anno a causa della pandemia non è stata autorizzata la processione degli obelischi che avrebbe dovuto svolgersi a giugno. I devoti si sono dovuti accontentare di due gigli piazzati assieme alla barca davanti alla cattedrale. Ma nessuna paranza li ha fatti danzare. Per il terzo anno consecutivo niente rito collettivo, solo la messa e una serata di musica per sentire riecheggiare nella piazza della città le canzoni che hanno fatto da colonna sonora a questo cerimoniale secolare.
Ma se a Nola la festa è in lockdown, a New York il giglio impazza. Il giubilo e l’allegria sono gli elementi fondamentali di questo rito collettivo che serve a rinsaldare il legame comunitario, a sentirsi parte di un tutto solidale. Uniti nonostante le differenze. Paisà come tutti gli altri e con gli altri. Perché la vita dei migranti è sempre difficile e l’attaccamento alle tradizioni è come un balsamo che lenisce le ferite della lontananza.
E mai come quest’anno la festa è diventata glocale, campana e broccolina, con il favore di internet. I devoti di Paolino, di qua e di là dell’oceano, condividono in tempo reale le immagini dei festeggiamenti sulle piattaforme come Youtube, Facebook e Instagram. La questua, i canti, le mangiate, i balli. Di fatto le nuove tecnologie hanno trasformato il folk-lore in web-lore. La memoria personale in memoria digitale. Prova ne sia il fatto che è bastato che la fotoreporter italiana Francesca Magnani postasse sul suo profilo @magnanina la foto di San Paolino tatuato sull’avanbraccio di un giovane italo-americano, perché l’immagine si viralizzasse. Finché un suo amico che vive nell’agro nolano non lo ha riconosciuto. “Ormai sei famoso – gli ha scritto – il tuo braccio è diventato un’icona”. Così Marcos Melendez, nato 47 anni fa a Williamsburg da madre portoricana, dalla quale viene il cognome ispanico, e da un nolano, è diventato una celebrità in entrambi i continenti. E come tutti gli anni è arrivato in questi giorni da Cleveland in Ohio, dove fa il poliziotto, per far partecipare il figlio all’alzata del giglio degli junior, mentre lui farà quella dei senior. Una lezione sul senso delle radici, perché, ripete sempre Marcos, “questo è il nostro sangue”. Il suo tatuaggio ora gli è ancora più caro, perché è l’ultimo ricordo di suo nipote, deceduto l’anno scorso per il Covid. Era un tatuatore specializzato in icone religiose e aveva impresso sul corpo di centinaia di devoti il volto del patrono di Nola.
Insomma, questo rito collettivo va molto oltre la semplice ostentazione della forza virile. Tanto che ormai sotto al giglio si piazzano anche le donne e le bambine. Perché il vero nucleo incandescente di questa festa è l’appartenenza alla comunità reale. E adesso anche alla community digitale.
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