
Quel protettore che batte gli scaramantici – il Mattino del 26 aprile
Napoli è da sempre l’università della superstizione. Ma in questo…
Marc Augé aveva Parigi nel cuore e il mondo nella testa. E ora che è scomparso, all’età di 87 anni, le sue opere e la sua umanità sembrano aver completato il puzzle di una vita vera. La curiosità come motore e la grazia come bussola. L’ho conosciuto quando ero una studentessa universitaria e lui era già una star internazionale dell’antropologia. Ma ascoltava e parlava con tutti, come fanno sempre i Maestri. Eravamo al Festival dei due mondi di Spoleto e ci ritrovammo a tavola per festeggiare il compleanno di Oliver Sacks. Non sapevo, allora, che i grandi si sentissero piccoli. Che la timidezza fosse la sorella siamese di chi si interroga sul senso della vita, sia nostro che altrui. Perché se l’autore di Risvegli da neurologo avesse ragionato sull’io, Augé da antropologo avrebbe riflesso sull’altro. D’altra parte, aveva svolto le sue prime ricerche sul terreno in Costa d’Avorio e del Togo a partire dalla fine degli anni Sessanta. Da quelle esperienze di vita aveva tratto ispirazione per un libro fondativo come “Poteri di vita e poteri di morte”, dove sfatava il mito del buon selvaggio creato dall’illuminismo. Poi è passato all’antropologia del quotidiano e con il neologismo “Nonluoghi” ha conquistato il pubblico italiano. Una volta mi ha confessato che questo successo editoriale lo stupiva, perché il libro uscito in Francia nel 1992 con il titolo Non-Lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité, altrove non aveva sortito lo stesso effetto, mentre nel Belpaese era diventato uno slogan, una bandiera anche politica, contro i centri commerciali e la gentrificazione. Ne andava fiero.
Una volta ci siamo incontrati a Capri. Doveva partecipare ad un dialogo con Marino Niola su Dioniso, il dio straniero che dinamizza le comunità che lo ospitano. La sera andammo a cena in un ristorante sul mare con la comune amica Mariella Pandolfi, antropologa dell’università di Montreal che era stata sua allieva di dottorato a Parigi. L’astro d’argento luccicava sul mare. L’orchestra suonava canzoni napoletane. E il timido professore le cantò tutte dalla prima all’ultima con lo sguardo perso all’orizzonte. Amava la vita e in quel periodo amava anche una giovane scrittrice che era rimasta nella Ville Lumière.
La globalizzazione, le migrazioni, la metropoli, le rovine, la scuola, le migrazioni, il multiculturalismo, la solitudine erano oggetto delle sue riflessioni. Ne parlava nelle conferenze affollatissime e ne scriveva in libri che uscivano a ripetizione. Negli ultimi anni sembrava infatti che avesse interiorizzato, suo malgrado, il celebre monito di San Paolo “il tempo si è fatto breve”. E lui cercava di vivere più intensamente possibile. Tanto che per un periodo ha anche abitato in Italia per amore del nostro Paese.
Insomma, è stato un grande antropologo perché ha messo il suo sapere e la sua sensibilità al servizio della conoscenza del nostro quotidiano. Aeroporti, metrò e bistrot. Luoghi e nonluoghi, dove si incontrano le tribù del mondo globale. Adieu!
Napoli è da sempre l’università della superstizione. Ma in questo…
Prendi un Santo, aggiungi un celebre fotografo, mettici il Rione…