Menu & Search

Il razzismo si fonda sul potere – La Lettura del 23 ottobre 2022

7 Novembre 2022

Due intellettuali celebri e un tema scottante, il razzismo. Da una parte Margaret Mead, la più famosa antropologa statunitense. Dall’altra James Baldwin, lo scrittore di successo uscito dal ghetto di Harlem. Bianca lei, nero lui. Sessantanove anni sbarazzini lei, quarantasei incendiari lui.

Lei è la “papessa” della cultura americana, corteggiata dai politici e ascoltata dal Pentagono. Lui un attivista in prima linea e un oratore trascinante adorato da folle di studenti coloured, ribollenti di rabbia. Con coraggio e lealtà i due si incontrano e si scontrano sul ring delle idee nell’agosto del 1970. Attorno a loro c’è un Paese che piange e rimpiange i suoi morti. Il presidente JFK assassinato nel 1963, Malcom X nel 1965 e Martin Luther King nel 1968. Vittime sacrificali che hanno sognato una società di eguali. Nei cinema si proiettano western progressive come Un uomo chiamato Cavallo di Elliot Silverstein.

Mead e Baldwin ingaggiano un dialogo serratissimo che diventa subito il best seller A Rap on Race. La casa editrice Meltemi ora lo manda in libreria nella traduzione di Vincenzo Mantovani, con il titolo Discussione sulla razza. Sciogliere i nodi su storia, culture e razzismi, corredato da un importante inquadramento storico-antropologico di Stefano De Matteis.

Tanto per conoscersi, i due si raccontano la prima volta in cui hanno capito che le persone non sono tutte uguali. Margaret lo scopre a undici anni. È il 1912 e si è appena trasferita in una fattoria della Pennsylvania. I suoi nuovi vicini sono un anziano, scappato da un padrone schiavista e la sua giovane moglie scurissima, con un figlio «bianco a metà». Alla bambina stupita la madre spiattella senza mezzi termini che la donna è stata violentata da un bianco. Così nella mente della futura star dell’antropologia si imprime un’immagine rovesciata dello stereotipo dello stupratore. Che di solito nell’immaginario delle bambine alla Shirley Temple come lei è l’«uomo nero». Invece a James tocca a dieci anni, quando viene picchiato selvaggiamente da due poliziotti, senza nessun perché, solo per la sua pelle scura, che è considerata di per sé un indizio di colpevolezza. È il 1934, il segregazionismo verrà cancellato dal Civil Rights Act solo trent’anni più tardi.

Entrambi crescono pieni di speranze, caricati a molla dall’idea che un altro mondo è possibile. E quel che colpisce nel dialogo, al di là degli argomenti, è proprio il fuoco che li scalda, la tensione che li sorregge. Sviscerando il presente, i due fanno ipotesi di futuro, ma senza censurare il passato. Esattamente il contrario di quel che fa oggi la Cancel Culture, quando attua un revisionismo del passato alla luce dei valori attuali, per farlo aderire a un’immaginetta politicamente corretta. Finendo per destorificare la storia.

Discorrendo dei mali del mondo e della natura dell’uomo, Mead dimostra a Baldwin che il razzismo non è solo una questione di colore. Perché colpisce anche le donne, le minoranze, i diversi, gli omosessuali, i malati mentali. Insomma, il vero problema è il pregiudizio che volta per volta cambia bersaglio, ma in ogni caso giustifica questa o quella forma di sottomissione. In realtà per Mead il fondamento di ogni razzismo è il potere. Solo una redistribuzione democratica e inclusiva del potere è in grado di calmierare la ferocia dei dominatori di turno. Ogni lotta per l’uguaglianza è dunque una lotta per l’umanità, conclude l’autrice di Maschio e femmina. Ecco perché – insiste – ogni battaglia civile è importante, anche quelle che apparentemente non ci riguardano.

Lui invece è persuaso e la persuade del fatto che «il bianco è uno stato d’animo» trasmesso con l’educazione. E se non si disimpara a sentirsi superiori, non si può fare niente per gli altri. Ma al tempo stesso – ammonisce – anche i discendenti degli schiavi devono liberarsi di loro stessi, del loro «stato d’animo da neri», che consiste fondamentalmente nell’interiorizzare il senso di inferiorità. Per l’autore di La prossima volta, il fuoco i poeti, i musicisti, gli artisti e gli insegnanti non devono diventare dei bianchi malriusciti, cercando di far dimenticare il colore della pelle. Al contrario, devono rivendicare la loro cultura afroamericana. Di fatto, lo scrittore fa sue le parole d’ordine di movimenti come Black Power e Black Panther Party for Self-Defence, che già da qualche tempo promuovono l’orgoglio nero e auspicano il riconoscimento dell’identità afro. Gli stessi ideali che due anni prima i velocisti a stelle e strisce Tommie Smith e John Carlos hanno rivendicato, presentandosi sul podio delle Olimpiadi del Messico con il pugno chiuso guantato di nero.

Al di là delle grandi speranze dei due, tra le righe del loro discorso si intravede una linea di frattura destinata a durare fino ad oggi e ad aprirsi come una faglia sotto i nostri piedi. Con il suprematismo bianco da una parte e il Black Lives Matter dall’altro. Da un lato l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, nel giorno della proclamazione di Biden a presidente USA. Dall’altro, l’uccisione di George Floyd, l’afroamericano soffocato da un poliziotto durante l’arresto a Minneapolis.

Uno scenario che allunga la sua ombra anche sul nostro Paese. Come nel caso del giocatore di origini marocchine che qualche giorno fa si è sentito dare del «negretto» dall’allenatore del Gallarate. I compagni di squadra, la Cas di Sacconago, in segno di solidarietà hanno abbandonato il campo prima del fischio finale. O nell’episodio della pallavolista nazionale Paola Egonu tentata di gettare la spugna e lasciare la squadra, stanca di sentirsi chiedere «perché è italiana», se ha la pelle nera? A risollevare il morale ci pensa l’onorevole Aboubakar Soumahoro, il sindacalista dei braccianti, italiano di origini ivoriane, che si è presentato in parlamento con gli stivali sporchi di fango, il pugno alzato e tanta voglia di fare «il bene di tutti». In fondo è proprio questo il messaggio di Mead e Baldwin, che alla fine dell’incontro non si sentono più né bianchi né neri. Ma semplicemente umani.

Avatar
Elisabetta Moro
Related article

Quella serata a Capri cantando in napoletano. Il mio ricordo di Marc Augé su il Mattino del 25 luglio 2023

Marc Augé aveva Parigi nel cuore e il mondo nella…

Quel protettore che batte gli scaramantici – il Mattino del 26 aprile

Quel protettore che batte gli scaramantici – il Mattino del 26 aprile

Napoli è da sempre l’università della superstizione. Ma in questo…

Attenti al boomerang della rivoluzione verde – La Lettura del Corriere della Sera del 12 marzo 2023

Attenti al boomerang della rivoluzione verde – La Lettura del Corriere della Sera del 12 marzo 2023

Type your search keyword, and press enter to search